I rialzi febbrili non devono essere temuti, né tantomeno “combattuti” a tutti i costi perché sono il segnale che l’organismo sta combattendo l’infezione.
La febbre non piace alle mamme, e più il bimbo è piccolo, più mette ansia: diciamo pure che fa stare peggio le mamme che i bambini che ne soffrono. Ma solo perché troppo spesso gode di una cattiva, quanto immeritata fama. Ma come affrontare la febbre nei bambini? Di seguito un piccolo vademecum per affrontare la febbre nei bambini.
Il vero significato della febbre
«La febbre è un meccanismo fondamentale per la nostra sopravvivenza», spiega Maurizio De Martino, ordinario di pediatria all’Università di Firenze e direttore del Dipartimento di Pediatria internistica dell’Ospedale pediatrico Anna Meyer. «Al punto che in rianimazione se c’è un paziente con la sepsi ma senza febbre, la situazione è grave perché significa che il sistema immunitario non funziona. La febbre esiste da milioni di anni in tutte le specie, perché con la temperatura più alta funziona meglio il sistema immunitario, mentre virus e batteri “si sfiancano”: ecco perché è il sintomo principale delle infezioni. E abbassarla significa prolungarle».
La temperatura del corpo è normale fino a 37,5°C, considerando però che può variare a seconda delle persone, delle ore della giornata, delle attività praticate, del clima.
Importante misurarla nel modo corretto
Lo strumento migliore per misurare la febbre è un normale termometro elettronico digitale: «Quelli da orecchio sono riservati al personale sanitario, perché la presenza di un’otite può dare un risultato più alto rispetto al reale, mentre un tappo di cerume può abbassarlo. Quello da fronte non è affidabile».
Il termometro va messo sotto l’ascella, mentre la via rettale è invasiva e “antipatica” per bebè e bambini, e può anche essere causa di lesioni.
Cosa fare una volta accertato che la febbre c’è?
«Se il bambino ha meno di 28 giorni di vita, le Linee guida della Società italiana di pediatria raccomandano che venga portato subito in ospedale, per l’elevato rischio di patologia. Se invece è un lattante – da quattro settimane a 12 mesi di età – è necessario farlo visitare in giornata dal pediatra, perché nel 10% dei casi potrebbe esserci il rischio di infezione batterica grave (setticemia, polmonite, pielonefrite, meningite)».
Attenzione in particolare a segnali come pianto ininterrotto, rifiuto del cibo o altri atteggiamenti “strani”. «Anche per i più grandicelli, comunque, è sempre necessario informare il pediatra».
Se la febbre compare dopo una vaccinazione, è bene avvisare il pediatra. «E, viceversa, se il bambino ha febbre acuta in atto la vaccinazione va rinviata a quando starà bene».
Convulsioni: si chiamano “febbrili” ma non è la febbre a causarle
La febbre, quindi, non va mai “curata” in quanto tale. Neanche se è accompagnata da convulsioni: «Non è la febbre a causarle», spiega il professor De Martino, «ma una predisposizione genetica (riguarda circa il 4% della popolazione) che induce l’organismo a produrre, quando c’è un’infezione, una particolare interleuchina in eccesso. Ecco perché nemmeno il paracetamolo le previene. È vero però che non vanno sottovalutate, perché anche malattie gravi, come la meningite, possono dare convulsioni: perciò al primo episodio il bambino va portato al pronto soccorso.
Una volta accertato che si tratta di “semplici” convulsioni febbrili, per bloccare sul nascere eventuali altri attacchi, il pediatra può consigliare farmaci da somministrare per via rettale».
No ai rimedi casalinghi
Bocciati senza appello i rimedi della nonna: «Ghiaccio, pezze con acqua fredda, spugnature con alcol non servono, perché la febbre si alza per un comando dato dal cervello. E, anzi, possono essere controproducenti» – ammonisce Maurizio De Martino – «perché al bambino possono venire brividi che aumentano ulteriormente la temperatura. Così come non è necessario spogliare il piccolo, basta non coprirlo».
Antipiretici: quando e come somministrarli
Quando usare l’antipiretico? «Quando la febbre causa malessere», risponde il professor De Martino. «Molti bambini durante gli attacchi febbrili producono endorfine, e stanno benissimo: possono addirittura uscire. Non è necessario in questi casi intervenire col farmaco. Che invece è indispensabile se il piccolo manifesta malessere, dolori muscolari e articolari, mal di testa. Il farmaco per eccellenza è il paracetamolo (dosaggio standard 60 mg/kg/giorno, in 4-6 dosi ogni 4-6 ore). Anche l’ibuprofene è efficace e sicuro. Non vanno però somministrati insieme o alternandoli, perché la combinazione potrebbe aumentare il rischio di sovradosaggio e di effetti collaterali. No invece al cortisone e nemmeno all’acido acetilsalicilico, non indicato in età pediatrica. E antibiotici mai di propria iniziativa, ma sempre e solo se il pediatra li prescrive».
Nella somministrazione del paracetamolo – per via orale, salvo casi particolari (per esempio in caso di vomito) o a discrezione dello specialista – occorre sempre attenersi alle dosi prescritte dal pediatra o indicate nel foglietto illustrativo, rispettare i tempi di assunzione indicati senza prolungarli o accorciarli, non avere fretta perché il farmaco agisce in un’ora e mezzo. Calcolare la dose sempre in base al peso del bambino e non all’età, utilizzando i dosatori del farmaco – contagocce, tappo dosatore – e non cucchiai con i quali si rischia il sovradosaggio.